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Pieve di Caminino

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Storia
La chiesa di Caminino, un tempo dedicata a S. Feriolo, appare oggi totalmente inglobata all’interno di un vasto complesso colonico, nel quale però emergono con relativa chiarezza elementi riferibili all’antico edificio sacro, evidenziati dal recente restauro, che ha per lungo tempo rivestito un ruolo particolare nell’organizzazione religiosa della diocesi ed è stato soggetto nel tempo a numerosi interventi edilizi.

Dopo la fioritura medievale, la pieve risulta infatti già in rovina alla fine del XVI secolo, quando si accertò che era usato come ricovero per le bestie e che non tutte le sue colonne erano in piedi. Dopo anni di ingiunzioni vescovili, che invitavano i fedeli a raccogliere elemosine con le quali restaurare l’antica chiesa, Caminino conobbe una vera rinascita alla metà del Seicento, quando Luca del Teglia ottenne dal vescovo il permesso di risiedere nel “suolo innaffiato dal sangue del santo martire Feriolo”. Il carisma dell’eremita, alla cui morte fu avviato un processo di beatificazione, rinnovò spiritualmente e materialmente l’antico luogo di culto, che aveva trovato in gran parte scoperto e fortemente manomesso anche nella planimetria.

Dopo la morte di Luca del Teglia, il romitorio appare solo saltuariamente abitato ed inizia la definitiva decadenza dell’edificio, interdetto nel 1786 e addirittura in parte demolito nel 1815 da Nicodemo Tempesti, che aveva ottenuto il permesso di utilizzare le pietre prelevate dal convento diruto come materiale da costruzione.

Nel 1839, in seguito ad una vendita l’edificio perse definitivamente ogni prerogativa religiosa. Acquistato sette anni più tardi da Nicodemo Tempesti, fu destinato ad uso agricolo e trasformato a questo fine se nel 1873, al momento dell’acquisto da parte della famiglia Marrucchi, Caminino viene descritto come un “ceppo di fabbricato disposto in modo utile per ottenere e sorvegliare i prodotti, ove si trovano quartieri per le famiglie dei lavoranti, stalle per il bestiame e vaste capanne per conservare gli strami secchi”.

L’antica pieve conserva ancora oggi, specie dall’esterno, l’aspetto di un rustico casale agricolo.

Architettura
Dell’antica struttura sono oggi riconoscibili la grande chiesa e, addossate al suo lato meridionale, alcune strutture medievali, tra cui spiccano quelle pertinenti verosimilmente al basamento di una torre campanaria. La chiesa ha subito nei secoli numerosi rimaneggiamenti e ne presenta incerta persino la lettura planimetrica. Le strutture romaniche conservate rimandano ad un edificio lungo più di trenta metri e largo circa

La metà, il cui braccio orientale era costituito da un'abside semicircolare e due absidiole laterali. La chiesa a tre navate (sono conservate le ultime quattro campate absidali) aveva una iconografia basilicale con un prospetto tripartito, che la facciata lascia oggi intravedere. La zona absidale doveva essere posta ad un livello superiore rispetto al resto della chiesa, ed è preceduta da un arco trionfale che la separa dalla campata presbiteriale. La forma dei capitelli contribuisce a differenziare la campata presbiteriale dalle altre: elementi pressoché cubici, presentano una semplice decorazione geometrica; nelle altre campate i capitelli sono di foggia diversa: parallelepipedi stondati agli angoli, quasi a formar grandi foglie, sormontati da un alto abaco a guisa di pulvino. La facciata è costituita da un corpo centrale alto dieci metri circa in muratura dai caratteri "protoromanici" , cui si appoggiano due ali. Caratteri di arcaicità sono conferiti alla facciata dalla bifora con colonnetta sormontata da un pulvino a gruccia.

Le dimensioni di Caminino dovevano essere sufficienti a contenere la popolazione delle campagne circostanti. Il progetto architettonico, tanto grandioso da non trovare confronti in tutta la diocesi, doveva essere stato determinato dal particolare ruolo rivestito dall’ente ecclesiastico più che dalle effettive necessità della popolazione.

In questo senso, la costruzione della pieve di Caminino ed il suo fallimento potrebbe essere legato alle vicende della famiglia dei Guglieschi, che in questo periodo si divideva il dominio del territorio di Montemassi con gli Aldobrandeschi e fu da questi sconfitta.

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