Tradizioni Popolari
Favole roccastradine
Proponiamo alcuni racconti di tradizione orale rilevati nel territorio di Roccastrada. Sono il frutto della parola degli uomini, nata dal desiderio di raccontare, davanti al fuoco, nelle aie, negli spazi estivi davanti alle case dei paesi, nelle occasioni cerimoniali e nelle evenienze relazionali suscitate dai ricercatori. Rispondono talvolta all'esigenza universale di divertire, di far vibrare la fantasia profonda o raccontano storie, credenze, usi e saperi di lavoro legati alla comunità territoriale.
Per scelta metodologica i documenti mantengono, nella resa cartacea, alcune sonorità e tratti dell'oralità.
Le rielaborazioni sono pertanto il risultato delle conversazioni tra informatori del territorio di Roccastrada ed i ricercatori.
LA CONTADINA FURBA
C'era una volta un contadino che aveva una figlia molto bella e intelligente..
Un giorno il contadino.. mentre dissodava il su terreno trova un bel mortaio.. ma proprio bello.. bello bello.. Allora va a casa tutto contento e lo dice alla su figliola.. dice "Guarda.. ho trovato un bellissimo mortaio.. domattina lo porto proprio al re"..
La su figliola lo guarda e poi dice "Ah.. io non glielo porterei babbo!.."
"Come mai!?"
"Vedi.. manca il pestello.. perché il mortaio ha bisogno anche del pestello.."
"Ah.. dice.. no.. no che c'entra?!.. Guarda quanto è bello.. te me lo pulisci per bene e io lo porto al re".
La mattina il contadino va sotto le finestre del re e dice alle guardie.. "Ho questo regalo da portare a sua Maestà.." e le guardie insomma lo fanno passare.. lo fanno passare e quando fu alla sua presenza li offre questo mortaio.. però.. a 'n certo momento il re dice "Il mortaio è raro e bello ma villan.. dov'è il pestello?!.."
"Ah!.. Me l'aveva detto la mi figliola che non lo dovevo portà.." dice "Perché?!.." Chiede il re..
"Perché m'ha detto.. è inutile che li porti il mortaio senza pestello.."
Allora il re s'incuriosisce.. e li venne voglia di conosce' questa ragazza.. "Però deve venì.. dice il re.. me la devi mandà domattina e che non sia né di giorno né di notte.. né digiuna né satollar.. né a piedi né a cavallo né spolta né vestita"
"Mamma mia..!" dice quest'omo.. tutto disperato arriva a casa.."Ah avevi ragione.. lo sai che m'ha detto il re?!.. Che devi andare domattina da lui.. però a questi patti.. perché sennò.. mamma mia!.."
Lei principiò a pensò un pochino poi dice "Non ti preoccupà tanto babbo.. lo risolvo.. guarda..!"
La mattina lei prende e si mette una castagna in bocca.. poi prende .. poi prende una rete da pesca é se la avvolge intorno al corpo.. Era aurora e sicché non era né notte né giorno e poi prende una capretto e ci monta a cavallo.. non era né a piedi né a cavallo..
Quando le guardie la videro.. mamma mia! Era una bella ragazza.. con questa rete da pesca.. aprirono subito le porte e la misero al cospetto del re.. dice "O com'è che sei venuta.. credi di avere.."
"Eh.. mi sembra di aver fatto tutte le cose che mi ha chiesto.. perché ho una castagna in bocca e sicché non sono né digiuna né satolla.. è l'aurora e per quello non è né notte né giorno.. poi questa capretta.. non sono né a piedi né a cavallo.. co la rete da pesca non sono né vestita né spolta.." Questo re.. appena la vide.. era talmente bella se ne innamora.. dice "Ti sposo.." però aveva già capito che questa era
un po' furba.. troppo furba.. Il re dice "Ti sposo però non ti devi interessare mai dei fatti del reame.. devi vivere così.. da regina.. ma senza mettere mai il naso nei miei affari.." Lei risponde "Sisì.." contenta.. E fanno queste grandi nozze.. sposa e va tutto bene..
Soltanto lei voleva mette' sempre qualche parola in più.. e lui diceva che rispettasse i patti.. e così andavano avanti.. Ora un giorno.. era il giorno di una gran festa.. di una fiera al paese e era un gran caldo.. e una mucca pregna l andò sotto un carro.. all'ombra.. e partorì.. nacque un vitellino.. Ora.. quando arriva il padrone del carro.. questo della mucca voleva prende' il vitellino.. "Eh no.." dice il padrone del carro "E' sotto '1 mi carro e il vitellino è mio.." Principiò il diverbio tra loro..
"Domani si va al cospetto del re e si risolve questa cosa..".. La mattina infatti vanno dal re.. espongono i fatti e il padrone della mucca dice "Guardi il vitellino è nato lì sotto l'ombra del carro.. però è mio.."
"Eh no..!" dice il re "Il vitellino era lì e il padrone del vitellino è il padrone del carro.."
Quest'uomo disperato dice "Tenevo a questo vitellino.. insomma lo potevo vendere.. potevo guadagnare qualcosa.. invece niente.. ah! Voglio proprio rivolgermi alla regina.." E va dalla regina che li dice "Guarda.. ti dò un consiglio.. però non fa il mi nome perché io non posso intervenire nei fatti del reame"
La mattina il re si affaccia.. tutte le mattine si affacciava alla finestra.. vede un uomo che aveva una gran rete da pesca e la buttava nel prato e faceva finta di ritiralla piena di pesci.. Il re dice "Ma che è.. è pazzo.. oh villan.. ma che fai?! Ma quando mai i prati fanno pesci?!"
E lui risponde "Eh.. e quando mai i carri fanno i buoi?!.." "Uhh..! Questa non è farina del sacco di questo contadino.. qui c'è dietro la Regina.." La regina dice "Beh..!" a un certo momento disse "Sì.. sono stata io.. perché mi sembrava una cosa ingiusta.."
"Io t'avevo detto che non ti dovevi interessare dei fatti che succedevano a corte.. perciò rivai.. e ritorna dal tu babbo.. i patti erano questi e tu li devi rispettare.. allora.. prendi la cosa che più ti piace e vai via.."
La mattina il re si desta e sente "Chicchirichì.. chicchirichì.." dice "O dove mi trovo?!.."
Apre Tocchi e è nel podere di lei.. "Ma che ci faccio.. un re che ci fa qui..in questa casa?!::""Eh guarda che ieri sera m'hai detto che dovevo prende la cosa più cara che c'era.. la cosa più cara per me sei te.. e ho preso te.."
"Eh..! Dice.. con te un ce la fò.."
La riprese.. andarono alla reggia e vissero felici e contenti.
La fiaba "La contadina furba" veniva raccontata di solito, da Marcucci Giuseppina, mia nonna, nata a Roccastrada nel 1898, terza elementare, alle sue cinque figlie. Per tanti anni, poi, seduta davanti alla porta di casa ha narrato storie e fiabe di tradizione orale ai bambini che venivano a giocare alla Colonia, sotto i castagni di Roccastrada. Tante volte l'ho ascoltata. Nel 1992 poi, per nessi affettivi e scientifici ho chiesto a Susanna Emia, mia madre, di raccontarmi la fiaba che aveva amato di più. Lei ha narrato questa bellissima fiaba che trova ampi riscontri nella fiabistica internazionale.
La Furba Contadina AT 875 indice internazionale A.Aarne E.S.Thompson.
STORIE DI PAURA
"..nel bosco ci volevo esse' quando apriva il giorno.."
Le due storie che seguono sono di paura, frequenti negli universi tradizionali. Nascono forse dal desiderio di parlare della realtà non visibile, delle immagini, delle paure nate nella mente. In una società chiusa come quella contadina esprimono a mio avviso anche l'esigenza di rompere le barriere fisiche e psichiche note per lasciar parlare le ossessioni.. il sogno..
D. E la gente le vedeva le paure?! Molti me ne hanno parlato..
R. Io codesto no.. ma una volta mi so' trovato a un caso.. allora andavo a caccia e ho avuto un po' di paura m'è copitoto altre quella lì.. di qui per andà a Sassofortino c'è la strada no? Che va ai Gessi... c'è un podere si chiama Fossatoio.. c'è una strada dietro il Fossotoio passa va ai Gessi.. allora io una mattina.. ma allora avevo diciassette.. no l'avrò avuti anche di più.. no no calma! Avevo moglie avevo passati venti anni.. avevo preso passione alla caccia e là sapevo che c'era una pianta di.. non so quel nome.. che so' bone d'ottobre vengano marroni..
D. Le sorbe?!..
R. No le sorbe so' più piccole piccine quante l'uva ma so' un pochino lunghe.. mongiàole noi si chiamano.. ma il vero
nome italiano è un altro ma io non me lo ricordo.. e lì ci va i tordi i merli sopra.. ma ci vanno così a mangià.. allora dissi "domattina vò lì" perché a esserci a pieno giorno ci vanno subito a mangià.. allora io parto era buio perché ci volevo esse' quando apriva il giorno.. perché apre il giorno la prima caccia e io.. era buio piglio lì e su con questo fucile quando arrivo a un posto si chiama Morticini.. c'è dei monti di sassi che ce le tiravano quando c'avevano sotterrato qualche morto.. dice che a quello che era morto lo mettevano lì e lo coprivano di sassi in quel modo.. e ognuno che passava gli tirava un sasso... c'è dei monti di sassi alti così.. in quel punto che è lì io camminavo per la strada la mattina.. quando arrivo a un certo punto c'era un pezzetto di retta' una strada di campagna.. ai Gessi vedevo un fochetto.. un focarello nella strada.. dissi "a quest'ora che qui.. ci so' avanti a me?".. "Eh! Non è possibile..è presto.." ogni modo seguitai.. quando arrivo vicino di qui e quella macchina lì quel coso.. questo foco fece.. una fiammata sparì non c'era più niente.. e allora mi impaurii.. allora dissi.. mi venne un po' di paura dissi "C'è il fucile.. ma il fucile che ne fò io.. ma questi so' scherzi io non l'ho mai visti! Non l'ho mai visto.. ogni modo c'avevo da passà lì ci passai lo stesso.. voom! Passai su.. quando arrivai più su trovai un compagno mio.. era davanti a me dissi "ma te non ha visto niente?" "No.. te che ha visto?" "Ho visto così così e così.. un foco m'ha fatto una fiammata e s'è spento non c'è più niente" "Io non ho visto niente.." Insomma l'unica paura che ho visto è quella lì che ho avuto l'unica è quella lì.. perché io da giovane so' sempre stato pauroso.. è capace se viaggiavo di notte vedevo qualche cosa là.. con più lo guardavo più mi pareva un ciuco.. mi pareva insomma.. quando uno ha paura tutte le cose le trasforma è così..
D. Ma quello strano fuoco l'ha proprio visto?!..
R. Eh..! Quello l'ho visto.. e dopo lo raccontai.. mi dissero "Ma quello è so' i gas della terra.. so' i gas della terra che sprigiona questa specie di focarello e poi dice è capace fà una vampata e poi si spenge".. Che so' l'anime?!.. io un ne so niente.. niente..
L'apparizione del diavolo
D. Altre storie le ha sentite?!..
R. Eh.. l'ho risentite raccontà delle belle ancora da uno che stava qui.. e disse.. ero ragazzetto.. disse avevo fatto tardi quassù.. sempre da queste strade qua..
D. Era di Piloni?!..
R. Sì..un Nerozzi.. e questo è un omo serio.. disse.. avevo fatto buio perché aveva le pecore da guardà l'aveva rimesse quassù e dopo a buio veniva giù.. dice quando arrivai vicino al paese qui a 200 metri dal paese m'apparisce un omo dice.. con un cappello a urso
.. alto sarà stato più di du metri.. aveva un cappello in capo a urso in questa maniera.. arrivò alla siepe passò di là traversò la strada e passò di sopra..
Quando fu passato.. "Io venni fine casa a corsa" disse e questo.. bugiardo non era eh..! E lui ha visto questa cosa qui.. era un omo serio e quello che disse l'aveva visto...
I racconti sono il frutto del dialogo avvenuto a novembre 1990 con Bartalucci Otello nato a Piloni nel 1918.
Per scelta metodologica i documenti mantengono, nella resa cartacea, alcune sonorità e tratti dell'oralità.
Le rielaborazioni sono pertanto il risultato delle conversazioni tra informatori del territorio di Roccastrada ed i ricercatori.
LA CONTADINA FURBA
C'era una volta un contadino che aveva una figlia molto bella e intelligente..
Un giorno il contadino.. mentre dissodava il su terreno trova un bel mortaio.. ma proprio bello.. bello bello.. Allora va a casa tutto contento e lo dice alla su figliola.. dice "Guarda.. ho trovato un bellissimo mortaio.. domattina lo porto proprio al re"..
La su figliola lo guarda e poi dice "Ah.. io non glielo porterei babbo!.."
"Come mai!?"
"Vedi.. manca il pestello.. perché il mortaio ha bisogno anche del pestello.."
"Ah.. dice.. no.. no che c'entra?!.. Guarda quanto è bello.. te me lo pulisci per bene e io lo porto al re".
La mattina il contadino va sotto le finestre del re e dice alle guardie.. "Ho questo regalo da portare a sua Maestà.." e le guardie insomma lo fanno passare.. lo fanno passare e quando fu alla sua presenza li offre questo mortaio.. però.. a 'n certo momento il re dice "Il mortaio è raro e bello ma villan.. dov'è il pestello?!.."
"Ah!.. Me l'aveva detto la mi figliola che non lo dovevo portà.." dice "Perché?!.." Chiede il re..
"Perché m'ha detto.. è inutile che li porti il mortaio senza pestello.."
Allora il re s'incuriosisce.. e li venne voglia di conosce' questa ragazza.. "Però deve venì.. dice il re.. me la devi mandà domattina e che non sia né di giorno né di notte.. né digiuna né satollar.. né a piedi né a cavallo né spolta né vestita"
"Mamma mia..!" dice quest'omo.. tutto disperato arriva a casa.."Ah avevi ragione.. lo sai che m'ha detto il re?!.. Che devi andare domattina da lui.. però a questi patti.. perché sennò.. mamma mia!.."
Lei principiò a pensò un pochino poi dice "Non ti preoccupà tanto babbo.. lo risolvo.. guarda..!"
La mattina lei prende e si mette una castagna in bocca.. poi prende .. poi prende una rete da pesca é se la avvolge intorno al corpo.. Era aurora e sicché non era né notte né giorno e poi prende una capretto e ci monta a cavallo.. non era né a piedi né a cavallo..
Quando le guardie la videro.. mamma mia! Era una bella ragazza.. con questa rete da pesca.. aprirono subito le porte e la misero al cospetto del re.. dice "O com'è che sei venuta.. credi di avere.."
"Eh.. mi sembra di aver fatto tutte le cose che mi ha chiesto.. perché ho una castagna in bocca e sicché non sono né digiuna né satolla.. è l'aurora e per quello non è né notte né giorno.. poi questa capretta.. non sono né a piedi né a cavallo.. co la rete da pesca non sono né vestita né spolta.." Questo re.. appena la vide.. era talmente bella se ne innamora.. dice "Ti sposo.." però aveva già capito che questa era
un po' furba.. troppo furba.. Il re dice "Ti sposo però non ti devi interessare mai dei fatti del reame.. devi vivere così.. da regina.. ma senza mettere mai il naso nei miei affari.." Lei risponde "Sisì.." contenta.. E fanno queste grandi nozze.. sposa e va tutto bene..
Soltanto lei voleva mette' sempre qualche parola in più.. e lui diceva che rispettasse i patti.. e così andavano avanti.. Ora un giorno.. era il giorno di una gran festa.. di una fiera al paese e era un gran caldo.. e una mucca pregna l andò sotto un carro.. all'ombra.. e partorì.. nacque un vitellino.. Ora.. quando arriva il padrone del carro.. questo della mucca voleva prende' il vitellino.. "Eh no.." dice il padrone del carro "E' sotto '1 mi carro e il vitellino è mio.." Principiò il diverbio tra loro..
"Domani si va al cospetto del re e si risolve questa cosa..".. La mattina infatti vanno dal re.. espongono i fatti e il padrone della mucca dice "Guardi il vitellino è nato lì sotto l'ombra del carro.. però è mio.."
"Eh no..!" dice il re "Il vitellino era lì e il padrone del vitellino è il padrone del carro.."
Quest'uomo disperato dice "Tenevo a questo vitellino.. insomma lo potevo vendere.. potevo guadagnare qualcosa.. invece niente.. ah! Voglio proprio rivolgermi alla regina.." E va dalla regina che li dice "Guarda.. ti dò un consiglio.. però non fa il mi nome perché io non posso intervenire nei fatti del reame"
La mattina il re si affaccia.. tutte le mattine si affacciava alla finestra.. vede un uomo che aveva una gran rete da pesca e la buttava nel prato e faceva finta di ritiralla piena di pesci.. Il re dice "Ma che è.. è pazzo.. oh villan.. ma che fai?! Ma quando mai i prati fanno pesci?!"
E lui risponde "Eh.. e quando mai i carri fanno i buoi?!.." "Uhh..! Questa non è farina del sacco di questo contadino.. qui c'è dietro la Regina.." La regina dice "Beh..!" a un certo momento disse "Sì.. sono stata io.. perché mi sembrava una cosa ingiusta.."
"Io t'avevo detto che non ti dovevi interessare dei fatti che succedevano a corte.. perciò rivai.. e ritorna dal tu babbo.. i patti erano questi e tu li devi rispettare.. allora.. prendi la cosa che più ti piace e vai via.."
La mattina il re si desta e sente "Chicchirichì.. chicchirichì.." dice "O dove mi trovo?!.."
Apre Tocchi e è nel podere di lei.. "Ma che ci faccio.. un re che ci fa qui..in questa casa?!::""Eh guarda che ieri sera m'hai detto che dovevo prende la cosa più cara che c'era.. la cosa più cara per me sei te.. e ho preso te.."
"Eh..! Dice.. con te un ce la fò.."
La riprese.. andarono alla reggia e vissero felici e contenti.
La fiaba "La contadina furba" veniva raccontata di solito, da Marcucci Giuseppina, mia nonna, nata a Roccastrada nel 1898, terza elementare, alle sue cinque figlie. Per tanti anni, poi, seduta davanti alla porta di casa ha narrato storie e fiabe di tradizione orale ai bambini che venivano a giocare alla Colonia, sotto i castagni di Roccastrada. Tante volte l'ho ascoltata. Nel 1992 poi, per nessi affettivi e scientifici ho chiesto a Susanna Emia, mia madre, di raccontarmi la fiaba che aveva amato di più. Lei ha narrato questa bellissima fiaba che trova ampi riscontri nella fiabistica internazionale.
La Furba Contadina AT 875 indice internazionale A.Aarne E.S.Thompson.
STORIE DI PAURA
"..nel bosco ci volevo esse' quando apriva il giorno.."
Le due storie che seguono sono di paura, frequenti negli universi tradizionali. Nascono forse dal desiderio di parlare della realtà non visibile, delle immagini, delle paure nate nella mente. In una società chiusa come quella contadina esprimono a mio avviso anche l'esigenza di rompere le barriere fisiche e psichiche note per lasciar parlare le ossessioni.. il sogno..
D. E la gente le vedeva le paure?! Molti me ne hanno parlato..
R. Io codesto no.. ma una volta mi so' trovato a un caso.. allora andavo a caccia e ho avuto un po' di paura m'è copitoto altre quella lì.. di qui per andà a Sassofortino c'è la strada no? Che va ai Gessi... c'è un podere si chiama Fossatoio.. c'è una strada dietro il Fossotoio passa va ai Gessi.. allora io una mattina.. ma allora avevo diciassette.. no l'avrò avuti anche di più.. no no calma! Avevo moglie avevo passati venti anni.. avevo preso passione alla caccia e là sapevo che c'era una pianta di.. non so quel nome.. che so' bone d'ottobre vengano marroni..
D. Le sorbe?!..
R. No le sorbe so' più piccole piccine quante l'uva ma so' un pochino lunghe.. mongiàole noi si chiamano.. ma il vero
nome italiano è un altro ma io non me lo ricordo.. e lì ci va i tordi i merli sopra.. ma ci vanno così a mangià.. allora dissi "domattina vò lì" perché a esserci a pieno giorno ci vanno subito a mangià.. allora io parto era buio perché ci volevo esse' quando apriva il giorno.. perché apre il giorno la prima caccia e io.. era buio piglio lì e su con questo fucile quando arrivo a un posto si chiama Morticini.. c'è dei monti di sassi che ce le tiravano quando c'avevano sotterrato qualche morto.. dice che a quello che era morto lo mettevano lì e lo coprivano di sassi in quel modo.. e ognuno che passava gli tirava un sasso... c'è dei monti di sassi alti così.. in quel punto che è lì io camminavo per la strada la mattina.. quando arrivo a un certo punto c'era un pezzetto di retta' una strada di campagna.. ai Gessi vedevo un fochetto.. un focarello nella strada.. dissi "a quest'ora che qui.. ci so' avanti a me?".. "Eh! Non è possibile..è presto.." ogni modo seguitai.. quando arrivo vicino di qui e quella macchina lì quel coso.. questo foco fece.. una fiammata sparì non c'era più niente.. e allora mi impaurii.. allora dissi.. mi venne un po' di paura dissi "C'è il fucile.. ma il fucile che ne fò io.. ma questi so' scherzi io non l'ho mai visti! Non l'ho mai visto.. ogni modo c'avevo da passà lì ci passai lo stesso.. voom! Passai su.. quando arrivai più su trovai un compagno mio.. era davanti a me dissi "ma te non ha visto niente?" "No.. te che ha visto?" "Ho visto così così e così.. un foco m'ha fatto una fiammata e s'è spento non c'è più niente" "Io non ho visto niente.." Insomma l'unica paura che ho visto è quella lì che ho avuto l'unica è quella lì.. perché io da giovane so' sempre stato pauroso.. è capace se viaggiavo di notte vedevo qualche cosa là.. con più lo guardavo più mi pareva un ciuco.. mi pareva insomma.. quando uno ha paura tutte le cose le trasforma è così..
D. Ma quello strano fuoco l'ha proprio visto?!..
R. Eh..! Quello l'ho visto.. e dopo lo raccontai.. mi dissero "Ma quello è so' i gas della terra.. so' i gas della terra che sprigiona questa specie di focarello e poi dice è capace fà una vampata e poi si spenge".. Che so' l'anime?!.. io un ne so niente.. niente..
L'apparizione del diavolo
D. Altre storie le ha sentite?!..
R. Eh.. l'ho risentite raccontà delle belle ancora da uno che stava qui.. e disse.. ero ragazzetto.. disse avevo fatto tardi quassù.. sempre da queste strade qua..
D. Era di Piloni?!..
R. Sì..un Nerozzi.. e questo è un omo serio.. disse.. avevo fatto buio perché aveva le pecore da guardà l'aveva rimesse quassù e dopo a buio veniva giù.. dice quando arrivai vicino al paese qui a 200 metri dal paese m'apparisce un omo dice.. con un cappello a urso
.. alto sarà stato più di du metri.. aveva un cappello in capo a urso in questa maniera.. arrivò alla siepe passò di là traversò la strada e passò di sopra..
Quando fu passato.. "Io venni fine casa a corsa" disse e questo.. bugiardo non era eh..! E lui ha visto questa cosa qui.. era un omo serio e quello che disse l'aveva visto...
I racconti sono il frutto del dialogo avvenuto a novembre 1990 con Bartalucci Otello nato a Piloni nel 1918.
I Canti del Maggio
Il canto del Maggio può essere definito come un’azione cerimoniale proposta da un gruppo specializzato, realizzata al domicilio dei beneficiari, secondo una cadenza calendariale, durante la quale si scambiano dei doni di natura simbolica (il canto augurale proposto dal gruppo) e, dietro esplicita richiesta, di natura materiale (cibi e denaro che le famiglie visitate donano ai maggerini); i cibi raccolti sono consumati, durante una seconda cerimonia, dal gruppo eventualmente allargato ad alcuni dei componenti della comunità più ampia. Nel grossetano, per “maggio lirico”, “canto del maggio”,
“anda’ a canta’ ’l maggio” ed espressioni simili, si intende un fenomeno molto più complesso di quanto si possa indicare in una semplice definizione. Questa tradizione è da vedere soprattutto all’interno della relazione con gli altri fenomeni sociali. Diffusa nel grossetano, nella Maremma livornese e pisana e in alcune località delle pendici amiatine in provincia di Siena, presenta una serie di varianti territoriali.
“anda’ a canta’ ’l maggio” ed espressioni simili, si intende un fenomeno molto più complesso di quanto si possa indicare in una semplice definizione. Questa tradizione è da vedere soprattutto all’interno della relazione con gli altri fenomeni sociali. Diffusa nel grossetano, nella Maremma livornese e pisana e in alcune località delle pendici amiatine in provincia di Siena, presenta una serie di varianti territoriali.
- Il Maggio cantato a Ribolla[.pdf 1,75 Mb - 01.07.2020]
- Opuscolo con i testi di Lorenzo Muzzi, detto "Gamba"[.pdf 710,07 Kb - 01.07.2020]
- Si canta il Maggio[.pdf 4,05 Mb - 01.07.2020]
Il Gioco della Palla a 21 a Torniella e Piloni
A Torniella e Piloni è ancora praticato il gioco della Palla a 21 (o Palla Eh!, Palla a mano, Palla a 21, palla eccola!, a secondo del luogo), gioco che ha radici greche e romane, forse progenitore del moderno tennis, e che lo si può incontrare in qualche altro paese delle provincie di Grosseto, Siena e Lucca. Per giocare bisogna avere predisposizione, una buona capacità di coordinamento, tempismo e colpo d’occhio. Si gioca tra due squadre composte da circa 5 giocatori ciascuna con età compresa fra i 16 ed i 60 anni o più, con ruoli ben differenziati. Le due squadre si fronteggiano in un campo di gioco naturale: luogo privilegiato è una piazza del paese che diventa luogo di contesa, delimitato da muri, case, terrazze, tetti, in cui sembra piuttosto l’identità della comunità che si difende in una gara in cui non è tanto la forza fisica a dominare (come nello sport moderno), quanto piuttosto la passione, la tenacia, l’attaccamento alle proprie radici culturali. Unico strumento di gioco è una pallina di cuoio costruita artigianalmente con l’anima di ferro (o piombo) avvolta in strisce di gomma e lana rivestita con pelle molto fine, del peso di circa 30/35 grammi, ricucita in maniera tale da rimanere comunque liscia e favorire l’aderenza e la presa al palmo della mano. L’inizio del gioco è segnato dal lancio del mandatore, il ruolo più importante. Da questo momento le due squadre si fronteggiano per contendersi lo spazio di gioco che viene vinto attraverso le cacce (punto in cui la pallina cade a terra) segnate in particolar modo dal tiro del mando. Il campo è delimitato infatti da due linee sul terreno: da una parte quella del mando, dall’altra quella della guadagnata. Il battitore cerca di mandare la pallina più lontano possibile perché al momento di cambiare campo, la squadra dovrà difendere solo lo spazio al di là’ del quale sono segnate le cacce; la squadra cercherà quindi di avere tatticamente uno spazio minore da difendere. Durante lo scambio la pallina in gioco può essere colpita solo al volo o al primo rimbalzo; dopo due cacce segnate le squadre cambiano campo (chi ha segnato deve ora vincere le cacce per poter ricevere il punto) e la squadra che ha respinto va in battuta per conquistarsi il punteggio.
Il gioco della "Palla eh!": alcune riflessioni da una ricerca sul campo.
di Nevia Grazzini
Il gioco è sostanzialmente espressione della cultura di un popolo, forma culturale che identifica una comunità.
Molti studiosi nel campo delle scienze umane e dell’antropologia hanno riversato su di esso grande attenzione, ma è stato in particolar modo oggetto di interesse nel campo degli studi su l ’ infanzia. Forse si è trascurato il fatto che anche nel mondo culturale tradizionale il gioco ha assunto da sempre un forte carattere educativo e ha richiesto il possesso di conoscenze concrete elementari. Ad esempio, molti dei giochi appartenenti alla cultura popolare hanno uno stretto rapporto con il movimento e attivano particolari attitudini naturali.
Così, come la lingua di cui ci serviamo, i giochi possono essere anche "media di comunicazione", sono il veicolo dì forme di linguaggio primitivo, un modo con cui anche la società parla a se stessa e comunica con la collettività esterna.
I giochi rappresentano, in fondo, con le loro convenzioni, anche le regole sociali e, come gli oggetti, ci parlano della Vita e di chi la rappresenta, mantenendo, spesso forme intrecciate con aspetti dell’ immaginario, del fantastico e del rito.
Nel mio lavoro di ricerca sulla cultura popolare tradizionale mi sono interessata ad alcuni aspetti di quel grande universo che è il mondo ludico, attraverso uno studio sui giochi costruiti con materiale naturale - vegetale e sui giochi di squadra, focalizzando, fra questi, un tipo di gioco diffuso fino a qualche anno fa nelle provincie di Grosseto, Siena e Lucca, conosciuto come Palla Eh!, Palla a mano, Palla a 21, palla eccola!.
Si tratta, in pratica, di un gioco agonistico che sembra precedere la fase moderna della regolamentazione - omologazione delle pratiche sportive e mantenere, pur rinnovandosi, aspetti agonistici tradizionali con caratteri fortemente regolamentati.
La prima documentazione che ho potuto raccoglie risale ’84, ‘85 e ’89 per conto di una ricerca sul campo condotta con l’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma Grossetana in collaborazione con gli studi di etno - antropologia dell’Università di Siena. L’indagine aveva permesso di rilevare, per quegli anni, alcune aree della provincia grossetana ancora interessate a questo fenomeno tradizionale: Buriano, Caldana, Vetulonìa, Piloni, Roccastrada, Roccatederighi, Sassofortino, Tatti, Tirli, Torniella. Attualmente, solo alcune di queste si rilevano luogo di attualità del fenomeno, attraverso periodici incontri e tornei che vengono effettuati soprattutto soprattutto nel periodo estivo: Vetulonia, Tirli, Piloni e Torniella nel Grossetano con alcune frange che sconfinano nel senese fortemente vitali: Ciciano e Scalvaia. Tirli denota un particolare attaccamento a questo gioco e si è presentata al torneo di quest’anno con due squadre: una di giovani e l’altra di più veterani, mentre Ciciano, si distingue per la continuità mantenuta nel tempo verso tale tradizione, cercando di conservare, nel centro del paese, gli spazi adeguati per poter giocare.
Per comprendere le dinamiche con cui si articola il gioco bisogna tener conto di alcune fondamentali variabili che lo compongono:
a) le tecniche di base (il campo e il suo contesto - la pallina - giocatori e la loro dislocazione nello spazio);
b) il gioco (le regole - il punteggio - i falli - gli stili - le abilità - le tattiche e le strategie);
c) i giocatori (ruoli, età, direzioni e figure responsabili nella squadra);
d) il pubblico e la tifoseria.
Questa manifestazione, così profondamente strutturata, presenta specifiche varianti locali che contraddistinguono ogni precisa comunità, quale, ad esempio, può essere il rapporto con l’identità locale tradizionale, la ripresa nel contesto della modernizzazione, gli stili di gioco e le tattiche, spesso occulte ad un pubblico poco esperto.
Per giocare, si dice, bisogna avere predisposizione, una buona capacità di coordinamento, tempismo e colpo d’occhio. Si gioca tra due squadre composte da circa 5 giocatori ciascuna con età compresa fra i 16 ed i 60 anni o più, con ruoli ben differenziati; fra questi emerge, per l’importanza che assume, il mandatore: è infatti a lui che sembra affidata gran parte della vittoria, è colui che dà inizio al gioco con un lancio della pallina "potente, preciso e sicuro", anche se "per il mando non occorre la forza, ci vuole piuttosto velocità d’azione, riflessi pronti, doti di coordinamento". Il tipo di lancio del mandatore deve essere in base alle caratteristiche richieste dal campo di gioco (soprattutto nel passato, si potevano individuare vari tipi di mando per ogni paese) e la pallina va lanciata possibilmente, con astuzia, verso chi non riesce a rispondere. "…Vetulonia, Caldana e Tirli avevano un mando diverso dal nostro…loro erano bravi...c’era tino che si chiamava Rubino...faceva il boscaiolo...ma questo ‘un vo’ dì perché bisogna dalla a tempo...con l’occhio".
Altro ruolo importante in questo gioco è rappresentato da colui che deve dimostrare prontezza nel colpire la palla a colpo, cioè al volo, o da colui capace nel respingerla di rimbalzo, o ancora del raccattino o richiappino, abile nel condurre il gioco sempre avanti alla squadra avversaria prendendo anche le palle impossibili.
Le due squadre si fronteggiano in un campo di gioco naturale: luogo privilegiato è una piazza del paese che diventa luogo di contesa, delimitato da muri, case, terrazze, tetti, in cui sembra piuttosto l’identità della comunità che si difende in una gara in cui non è tanto la forza fisica a dominare (come nello sport moderno), quanto piuttosto la passione, la tenacia, l’attaccamento alle proprie radici culturali. Alla piazza, o via prescelta per la disputa, si richiede un largo spazio centrale, meglio se a forma di conca e dei confini che delimitano lo spazio richiesto; quando non è possibile utilizzare quelli preesistenti, vengono tracciati in terra con dei segni in gesso.
Unico strumento di gioco è una pallina di cuoio costruita artigianalmente con l’anima di ferro (o piombo) avvolta in strisce di gomma e lana rivestita con pelle molto fine, del peso di circa 30/35 grammi, ricucita in maniera tale da rimanere comunque liscia e favorire l’aderenza e la presa al palmo della mano. Alle mani segnate dai duri lavori dei vecchi giocatori (carbonai, boscaioli, dicioccatori...), negli ultimi anni i giovani hanno sostituito dei guanti, ma i più anziani ne criticano l’uso, poiché, a loro avviso, la pallina può scivolare facilmente e non garantire una presa sicura. Un agente esterno che può incidere sull’andamento del gioco è il vento: una variabile certo considerevole che, per essere contrastata, necessita dell’uso di palline di vario peso e costruite appositamente.
L’inizio del gioco è segnato dal lancio del mandatore. Da questo momento le due squadre si fronteggiano per contendersi lo spazio di gioco che viene vinto attraverso le cacce (punto in cui la pallina cade a terra) segnate in particolar modo dal tiro del mando. Il campo è delimitato infatti da due linee sul terreno: da una parte quella del mando, dall’altra quella della guadagnata. Il battitore cerca di mandare la pallina più lontano possibile perché al momento di cambiare campo, la squadra dovrà difendere solo lo spazio al di là’ del quale sono segnate le cacce; la squadra cercherà quindi di avere tatticamente uno spazio minore da difendere. Durante lo scambio la pallina in gioco può essere colpita solo al volo o al primo rimbalzo; dopo due cacce segnate le squadre cambiano campo (chi ha segnato deve ora vincere le cacce per poter ricevere il punto) e la squadra che ha respinto va in battuta per conquistarsi il punteggio. E comunque fra il pubblico della tifoseria, fra gli osservatori attenti e curiosi, che è possibile seguire il gioco, conoscerne le regole, capire il comportamento dei giocatori dietro quegli sguardi maliziosi, quei giochi sottesi e nascosti pronti a mettere in moto meccanismi e azioni tattiche, piccole strategie per cogliere di sorpresa l’altro e mettere in difficoltà l’avversario per strappargli almeno un punto. Di questo gioco, tuttavia, si ha testimonianza soprattutto fra i ricordi dei più anziani, quando era ancora radicato come patrimonio culturale della comunità, quando anche il tempo di non - lavoro era regolamentato da uno spazio ludico vissuto con competitività e un’integrità sociale era ancora da difendere.
La ripresa del gioco, interrotto durante la guerra, ha perso gran parte di quella carica anche emotiva che un tempo lo alimentava e, nelle giovani generazioni, prese soprattutto da spirito agonistico e sportivo, che sembra dilatare e deformare ogni realtà, manca quel filo di continuità con il passato.
D’altronde oggi, ad essere modificati sono anche i contesti del gioco: così, lo spazio originario ed esclusivo che ne consentiva la sua esistenza, la piazza del paese, è stata ormai conquistata dalle macchine e da nuove costruzioni con i loro accorgimenti e abbellimenti, che non sono certo servite a stimolare la continuità necessaria alla ripresa della tradizione. Troppo difficile diventa ormai riconquistarsi un territorio con una semplice pallina che si lanci fra le dita!
Il gioco della "Palla eh!": alcune riflessioni da una ricerca sul campo.
di Nevia Grazzini
Il gioco è sostanzialmente espressione della cultura di un popolo, forma culturale che identifica una comunità.
Molti studiosi nel campo delle scienze umane e dell’antropologia hanno riversato su di esso grande attenzione, ma è stato in particolar modo oggetto di interesse nel campo degli studi su l ’ infanzia. Forse si è trascurato il fatto che anche nel mondo culturale tradizionale il gioco ha assunto da sempre un forte carattere educativo e ha richiesto il possesso di conoscenze concrete elementari. Ad esempio, molti dei giochi appartenenti alla cultura popolare hanno uno stretto rapporto con il movimento e attivano particolari attitudini naturali.
Così, come la lingua di cui ci serviamo, i giochi possono essere anche "media di comunicazione", sono il veicolo dì forme di linguaggio primitivo, un modo con cui anche la società parla a se stessa e comunica con la collettività esterna.
I giochi rappresentano, in fondo, con le loro convenzioni, anche le regole sociali e, come gli oggetti, ci parlano della Vita e di chi la rappresenta, mantenendo, spesso forme intrecciate con aspetti dell’ immaginario, del fantastico e del rito.
Nel mio lavoro di ricerca sulla cultura popolare tradizionale mi sono interessata ad alcuni aspetti di quel grande universo che è il mondo ludico, attraverso uno studio sui giochi costruiti con materiale naturale - vegetale e sui giochi di squadra, focalizzando, fra questi, un tipo di gioco diffuso fino a qualche anno fa nelle provincie di Grosseto, Siena e Lucca, conosciuto come Palla Eh!, Palla a mano, Palla a 21, palla eccola!.
Si tratta, in pratica, di un gioco agonistico che sembra precedere la fase moderna della regolamentazione - omologazione delle pratiche sportive e mantenere, pur rinnovandosi, aspetti agonistici tradizionali con caratteri fortemente regolamentati.
La prima documentazione che ho potuto raccoglie risale ’84, ‘85 e ’89 per conto di una ricerca sul campo condotta con l’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma Grossetana in collaborazione con gli studi di etno - antropologia dell’Università di Siena. L’indagine aveva permesso di rilevare, per quegli anni, alcune aree della provincia grossetana ancora interessate a questo fenomeno tradizionale: Buriano, Caldana, Vetulonìa, Piloni, Roccastrada, Roccatederighi, Sassofortino, Tatti, Tirli, Torniella. Attualmente, solo alcune di queste si rilevano luogo di attualità del fenomeno, attraverso periodici incontri e tornei che vengono effettuati soprattutto soprattutto nel periodo estivo: Vetulonia, Tirli, Piloni e Torniella nel Grossetano con alcune frange che sconfinano nel senese fortemente vitali: Ciciano e Scalvaia. Tirli denota un particolare attaccamento a questo gioco e si è presentata al torneo di quest’anno con due squadre: una di giovani e l’altra di più veterani, mentre Ciciano, si distingue per la continuità mantenuta nel tempo verso tale tradizione, cercando di conservare, nel centro del paese, gli spazi adeguati per poter giocare.
Per comprendere le dinamiche con cui si articola il gioco bisogna tener conto di alcune fondamentali variabili che lo compongono:
a) le tecniche di base (il campo e il suo contesto - la pallina - giocatori e la loro dislocazione nello spazio);
b) il gioco (le regole - il punteggio - i falli - gli stili - le abilità - le tattiche e le strategie);
c) i giocatori (ruoli, età, direzioni e figure responsabili nella squadra);
d) il pubblico e la tifoseria.
Questa manifestazione, così profondamente strutturata, presenta specifiche varianti locali che contraddistinguono ogni precisa comunità, quale, ad esempio, può essere il rapporto con l’identità locale tradizionale, la ripresa nel contesto della modernizzazione, gli stili di gioco e le tattiche, spesso occulte ad un pubblico poco esperto.
Per giocare, si dice, bisogna avere predisposizione, una buona capacità di coordinamento, tempismo e colpo d’occhio. Si gioca tra due squadre composte da circa 5 giocatori ciascuna con età compresa fra i 16 ed i 60 anni o più, con ruoli ben differenziati; fra questi emerge, per l’importanza che assume, il mandatore: è infatti a lui che sembra affidata gran parte della vittoria, è colui che dà inizio al gioco con un lancio della pallina "potente, preciso e sicuro", anche se "per il mando non occorre la forza, ci vuole piuttosto velocità d’azione, riflessi pronti, doti di coordinamento". Il tipo di lancio del mandatore deve essere in base alle caratteristiche richieste dal campo di gioco (soprattutto nel passato, si potevano individuare vari tipi di mando per ogni paese) e la pallina va lanciata possibilmente, con astuzia, verso chi non riesce a rispondere. "…Vetulonia, Caldana e Tirli avevano un mando diverso dal nostro…loro erano bravi...c’era tino che si chiamava Rubino...faceva il boscaiolo...ma questo ‘un vo’ dì perché bisogna dalla a tempo...con l’occhio".
Altro ruolo importante in questo gioco è rappresentato da colui che deve dimostrare prontezza nel colpire la palla a colpo, cioè al volo, o da colui capace nel respingerla di rimbalzo, o ancora del raccattino o richiappino, abile nel condurre il gioco sempre avanti alla squadra avversaria prendendo anche le palle impossibili.
Le due squadre si fronteggiano in un campo di gioco naturale: luogo privilegiato è una piazza del paese che diventa luogo di contesa, delimitato da muri, case, terrazze, tetti, in cui sembra piuttosto l’identità della comunità che si difende in una gara in cui non è tanto la forza fisica a dominare (come nello sport moderno), quanto piuttosto la passione, la tenacia, l’attaccamento alle proprie radici culturali. Alla piazza, o via prescelta per la disputa, si richiede un largo spazio centrale, meglio se a forma di conca e dei confini che delimitano lo spazio richiesto; quando non è possibile utilizzare quelli preesistenti, vengono tracciati in terra con dei segni in gesso.
Unico strumento di gioco è una pallina di cuoio costruita artigianalmente con l’anima di ferro (o piombo) avvolta in strisce di gomma e lana rivestita con pelle molto fine, del peso di circa 30/35 grammi, ricucita in maniera tale da rimanere comunque liscia e favorire l’aderenza e la presa al palmo della mano. Alle mani segnate dai duri lavori dei vecchi giocatori (carbonai, boscaioli, dicioccatori...), negli ultimi anni i giovani hanno sostituito dei guanti, ma i più anziani ne criticano l’uso, poiché, a loro avviso, la pallina può scivolare facilmente e non garantire una presa sicura. Un agente esterno che può incidere sull’andamento del gioco è il vento: una variabile certo considerevole che, per essere contrastata, necessita dell’uso di palline di vario peso e costruite appositamente.
L’inizio del gioco è segnato dal lancio del mandatore. Da questo momento le due squadre si fronteggiano per contendersi lo spazio di gioco che viene vinto attraverso le cacce (punto in cui la pallina cade a terra) segnate in particolar modo dal tiro del mando. Il campo è delimitato infatti da due linee sul terreno: da una parte quella del mando, dall’altra quella della guadagnata. Il battitore cerca di mandare la pallina più lontano possibile perché al momento di cambiare campo, la squadra dovrà difendere solo lo spazio al di là’ del quale sono segnate le cacce; la squadra cercherà quindi di avere tatticamente uno spazio minore da difendere. Durante lo scambio la pallina in gioco può essere colpita solo al volo o al primo rimbalzo; dopo due cacce segnate le squadre cambiano campo (chi ha segnato deve ora vincere le cacce per poter ricevere il punto) e la squadra che ha respinto va in battuta per conquistarsi il punteggio. E comunque fra il pubblico della tifoseria, fra gli osservatori attenti e curiosi, che è possibile seguire il gioco, conoscerne le regole, capire il comportamento dei giocatori dietro quegli sguardi maliziosi, quei giochi sottesi e nascosti pronti a mettere in moto meccanismi e azioni tattiche, piccole strategie per cogliere di sorpresa l’altro e mettere in difficoltà l’avversario per strappargli almeno un punto. Di questo gioco, tuttavia, si ha testimonianza soprattutto fra i ricordi dei più anziani, quando era ancora radicato come patrimonio culturale della comunità, quando anche il tempo di non - lavoro era regolamentato da uno spazio ludico vissuto con competitività e un’integrità sociale era ancora da difendere.
La ripresa del gioco, interrotto durante la guerra, ha perso gran parte di quella carica anche emotiva che un tempo lo alimentava e, nelle giovani generazioni, prese soprattutto da spirito agonistico e sportivo, che sembra dilatare e deformare ogni realtà, manca quel filo di continuità con il passato.
D’altronde oggi, ad essere modificati sono anche i contesti del gioco: così, lo spazio originario ed esclusivo che ne consentiva la sua esistenza, la piazza del paese, è stata ormai conquistata dalle macchine e da nuove costruzioni con i loro accorgimenti e abbellimenti, che non sono certo servite a stimolare la continuità necessaria alla ripresa della tradizione. Troppo difficile diventa ormai riconquistarsi un territorio con una semplice pallina che si lanci fra le dita!
Il Medioevo nel borgo di Roccatederighi
Durante il primo fine settimana di agosto vi ritroverete proiettati indietro di qualche secolo, esattamente, nel Medio Evo.
Roccatederighi si trasforma, oltre l’antica porta il tempo ritorna indietro: gli abitanti sono vestiti in abiti rigorosamente storici, vedrete passeggiare dame e cavalieri, contadini e mendicanti, e gli artigiani che metteranno al vostro servizio le loro antiche arti; la sera i vicoli sono illuminati con le torce, e il del borgo è allietato da giullari e cantastorie, maghi e fattucchiere e ogni genere di saltimbanchi.
Troverete bancarelle che vi offriranno ogni genere di mercanzia: dalla frutta fresca alle ceramiche, dai dolci alle pergamene, oppure... qualche magica pozione o qualche strana invenzione. Ma attenzione: qui l’euro non è entrato in vigore, qui potrete utilizzare solamente i fiorini rocchigiani che saranno scambiati con la vostra moneta all’ingresso del paese.
E dopo avere cambiato la vostra moneta e speso un po’ di soldi in ogni genere di meraviglia inizierete a sentire un profumo spargesi per le vie: diverse osterie vengono allestite in più angoli del paese. Verrete serviti con piatti cucinati secondo le antiche ricette della zona, con gli ottimo prodotti locali, tutto ovviamente accompagnato da buon vino. Ma attenzione, potreste anche incappare in combattimenti tra cavalieri in armatura, oppure incontrare streghe e maghi.
Roccatederighi si trasforma, oltre l’antica porta il tempo ritorna indietro: gli abitanti sono vestiti in abiti rigorosamente storici, vedrete passeggiare dame e cavalieri, contadini e mendicanti, e gli artigiani che metteranno al vostro servizio le loro antiche arti; la sera i vicoli sono illuminati con le torce, e il del borgo è allietato da giullari e cantastorie, maghi e fattucchiere e ogni genere di saltimbanchi.
Troverete bancarelle che vi offriranno ogni genere di mercanzia: dalla frutta fresca alle ceramiche, dai dolci alle pergamene, oppure... qualche magica pozione o qualche strana invenzione. Ma attenzione: qui l’euro non è entrato in vigore, qui potrete utilizzare solamente i fiorini rocchigiani che saranno scambiati con la vostra moneta all’ingresso del paese.
E dopo avere cambiato la vostra moneta e speso un po’ di soldi in ogni genere di meraviglia inizierete a sentire un profumo spargesi per le vie: diverse osterie vengono allestite in più angoli del paese. Verrete serviti con piatti cucinati secondo le antiche ricette della zona, con gli ottimo prodotti locali, tutto ovviamente accompagnato da buon vino. Ma attenzione, potreste anche incappare in combattimenti tra cavalieri in armatura, oppure incontrare streghe e maghi.
Il Palio dei Ciuchi di Roccastrada
Il Palio di Roccastrada da sempre significa tradizione popolare, goliardia e sana rivalità. Da ormai più di 40 anni, la manifestazione ha mantenuto inalterata la passione dei contradaioli, dei fantini e degli organizzatori e la loro voglia di divertirsi e di divertire il pubblico sempre molto numeroso.
La passione e l'agonismo che sono alla base del Palio di Roccastrada sono lontane anni luce dalle tensioni di altre competizioni tradizionali e dei moderni sport professionistici. Vincere qui significa poter "sfottere" bonariamente gli avversari sconfitti in attesa di rimettere in gioco l'anno successivo tutte le graduatorie, tutte le gerarchie. La gara è preceduta dalla sfilata del Palio con in testa il carro della fanfara allegorica che gira per portare alle otto contrade in gara il suo saluto. Seguono la fanfara i carri addobbati con i colori ed i simboli della Torre, del Borgo, del Convento, della Fonte, delle Capannacce, del Centro, del Chiusone, del Portoncino, le contrade.
Mentre Corso Roma si popola di contradaioli e di spettatori, si svolge l'estrazione e la successiva assegnazione dei ciuchi alle contrade. Ogni contrada può contare su due fantini e naturalmente su altrettanti ciuchi. Poi inizia la gara: i sedici fantini ed i rispettivi ciuchi vengono suddivisi in quattro batterie. Fanno parte di ognuna di esse quattro fantini, due per contrada; soltanto il primo classificato potrà disputare la Batteria dei vincitori, la vera finale del Palio. Per il secondo classificato di ognuna delle Batterie iniziali ci sarà posto nella Batteria dei perdenti; per il terzo ed il quarto classificato invece la gara sarà finita lì e saranno costretti ad osservare gli altri all'opera e a cominciare a pensare a come far meglio il prossimo anno.
Alla Batteria dei Vincitori prendono parte quattro fantini con i rispettivi quadrupedi. Al primo classificato ed alla sua contrada di appartenenza andrà in premio il palio dipinto da un’artista.
La passione e l'agonismo che sono alla base del Palio di Roccastrada sono lontane anni luce dalle tensioni di altre competizioni tradizionali e dei moderni sport professionistici. Vincere qui significa poter "sfottere" bonariamente gli avversari sconfitti in attesa di rimettere in gioco l'anno successivo tutte le graduatorie, tutte le gerarchie. La gara è preceduta dalla sfilata del Palio con in testa il carro della fanfara allegorica che gira per portare alle otto contrade in gara il suo saluto. Seguono la fanfara i carri addobbati con i colori ed i simboli della Torre, del Borgo, del Convento, della Fonte, delle Capannacce, del Centro, del Chiusone, del Portoncino, le contrade.
Mentre Corso Roma si popola di contradaioli e di spettatori, si svolge l'estrazione e la successiva assegnazione dei ciuchi alle contrade. Ogni contrada può contare su due fantini e naturalmente su altrettanti ciuchi. Poi inizia la gara: i sedici fantini ed i rispettivi ciuchi vengono suddivisi in quattro batterie. Fanno parte di ognuna di esse quattro fantini, due per contrada; soltanto il primo classificato potrà disputare la Batteria dei vincitori, la vera finale del Palio. Per il secondo classificato di ognuna delle Batterie iniziali ci sarà posto nella Batteria dei perdenti; per il terzo ed il quarto classificato invece la gara sarà finita lì e saranno costretti ad osservare gli altri all'opera e a cominciare a pensare a come far meglio il prossimo anno.
Alla Batteria dei Vincitori prendono parte quattro fantini con i rispettivi quadrupedi. Al primo classificato ed alla sua contrada di appartenenza andrà in premio il palio dipinto da un’artista.
Il Palio Storico di Roccatederighi
Risalente addirittura al Medioevo (1295), quando fu istituita dai senesi la “Giostra dei Sestrieri con Palio”, la corsa di Roccatederighi fu disputata nuovamente in epoca moderna nel 1947 su strada a sterro e ciuchi ferrati.La sfilata in costume d'epoca e la disputa del Palio si sono svolte secondo le tradizioni e le regole tramandate fin dal Medioevo, con la variante del numero delle Contrade, che furono portate da sei (da cui il nome 'Palio dei Sestrieri') a cinque, incorporando l'antica Contrada del Tufolino in quella della Torre.
Dal 1947 al 1970 il Palio venne corso immancabilmente il 14 di Settembre: la sfilata storica in costumi medioevali cominciava alle 16 e i festeggiamenti si prolungavano fino a notte inoltrata nella contrada vincente, illuminata a giorno, mentre le altre contrade rimanevano nell'oscurità.
Nel 1971 gli abitanti di Roccatederighi, ridotti nel numero di residenti, decisero di sperimentare una edizione estiva del Palio, cioè quella della vigilia di Ferragosto, quando il paese era popolato da numerosi villeggianti. L'edizione ebbe un gran successo di pubblico, così divenne una regola definitiva. Per alcuni anni fu mantenuta la tradizione del Palio di Settembre, ma fu abbandonata definitivamente nel 1980.
Dal 1947 al 1970 il Palio venne corso immancabilmente il 14 di Settembre: la sfilata storica in costumi medioevali cominciava alle 16 e i festeggiamenti si prolungavano fino a notte inoltrata nella contrada vincente, illuminata a giorno, mentre le altre contrade rimanevano nell'oscurità.
Nel 1971 gli abitanti di Roccatederighi, ridotti nel numero di residenti, decisero di sperimentare una edizione estiva del Palio, cioè quella della vigilia di Ferragosto, quando il paese era popolato da numerosi villeggianti. L'edizione ebbe un gran successo di pubblico, così divenne una regola definitiva. Per alcuni anni fu mantenuta la tradizione del Palio di Settembre, ma fu abbandonata definitivamente nel 1980.
Il rito delle fonti, la leggenda di San Feriolo e le antiche processioni
D. Mi parli della processione di San Feriolo..
R. Io mi ricordo ci andavo co' la mi' nonna.. sempre co grandi.. perché a soli i bimbi.. non è che si poteva andare coll'amica.. 'nsomma ero piccola.. ma non proprio da non andare... e s'andava 'n giù.. a que' tempi... a piedi e su tornavamo con i bambini che facevano le corse pe' sonare le campane al ritorno..
D. Ma c'era un motivo che spiegava il suonare le campane al ritorno..
R. Sì.. '1 motivo era che avvisavano quelli del paese.. che erano stati a San Feriolo e tra poco pioveva era pe' avvisò quest'omini.. Tomini lavoravano e non venivano alla processione.. tante volte le più volte...
Prima facevamo tutto a piedi.. ma l'avrò fatto nel quarontacinque era appena finita la guerra.. po' ci sarebbero state l'elezioni.. la guerra era finita.. 'nsomma tutto già 'n pochino s'era rimesso in ordine ... e se non pioveva si doveva andare e si faceva ancora se pioveva e... era proprio un'usanza.. mi pare sarà stato maggio.. giugno..
così s'andava questo giorno giù a questo San Feriolo a pregare.. se pioveva troppo s'andava acchè smettesse e se non pioveva s'andava per vedere se pioveva.. perché per la campagna era molto importante e... tutti contenti e si cantava quando s'andava lì e... a volte po' si mangiava dove c'era un bel noce.. prima d'arrivare...
La bella cosa... che oggi non c'è più.. i giovani 'n ci pensano più a noi vecchi... era che noi più giovanine e si doveva accompagnò le donne più vecchie che non camminavano.. ma io ero troppo piccina quando c'ondavo... e lo facevano quelle più grandi di me 'nsomma.. io ero ragazzina proprio.. e mi ricordo che giocavo a correre tutto 'n giro intorno alla chiesetto., po' si giocava a chiapparello co le altre ragazzine...
A volte le ragazze e c'andavano anche perché... c'era qualcuno che gli piaceva tra Tomini... e ragazzi... ora so vecchi.. 'nsommo era 'no bella festa... quella di San Feriolo.. nella chiesa c'era anche un quadro che poi è stato rubato dice.. dove c'era il santo in ginocchio con questa brocca da dove veniva giù quest'acqua.. po c'era questa piccola fontina di lato e noi si prendeva la brocca e si portava a casa anche come benedizione quest'acqua 'nsomma..
D. E quest'acqua che funzione aveva..?
GLI ITINERARI
R. Questa acqua era nata pe' un miracolo., la fonte
venne fori dal sangue di San Fenolo.. quando i suoi uccisori
lo ammazzarono.. forse erano gli antichi romani.. perché lu' era cristiano... uno de' primi che c'erano, s'era all'inizio del cristianesimo... e dove morì San Fenolo ci nacque la fonte..
Noi quell'acqua e si teneva in casa.. a volte... quando c'era qualche
malato ci si... segnava.. oppure
spruzzava 'n pochino, pe' vedè se D. E la storia della sardina?!..
R. Io l'ho sentita dì questa cosa.. pero io non ce l'ho mai vista eh..! D. No..!?
R. Però io so che dicevano.. "mettetegli un'aringa addirittura.." perché è molto salata l'aringa.. "mettetegli un'aringa in bocca voi che andate giù e che siete tanto devote a vedé se si riesce a fà piove'.." quando stava tanto tempo senza piove'.. però non lo so nemmeno.. perché essendo un quadro se ce l'avevano messa.. do
veva esserci un segno..
D. Dicevano che c'era un
R. Un taglio eh.. ah sì..! No.. sinceramente io questo non ce l'ho visto.. D. Si racconta... e gli uomini come la vedevano questa cosa..? R. Ma niente.. un n'è che n'abbia... io penso che dietro dietro avranno riso 'n po'.. non lo so.. però se pioveva le donne avevano 'na gran vittoria eh... sì.. se capitava l'acqua dopo la processione...
si portava nelle campagne e si andava meglio il raccolto..
taglio..
Una lettura antropologica
Altri informatori tradizionali del territorio roccastrodino raccontano che le donne, in un periodo di gran siccità fecero un taglio nella tela del dipinto all'altezza della bocca e ci misero una sardina perché così al Santo "gli veniva sete" ed avrebbe mandato la pioggia. Un'usanza del tutto simile si ritroverebbe nel paesino siciliano di Niscemi.
Qui si racconta che il taglio, in questo caso, fu effettuato nel contesto di una processione e questo è maggiormente interessante, dato che a S. Fenolo il fatto dell' "aringa" è storicamente avvenuto, attivando, nell'immaginario collettivo, un processo di leggendarizzazione, in cui l'evento storico è diventato un oggetto transazionale, divenendo evento mitico e dando forse, in questa trasposizione di identità da un livello orizzontale ad un livello verticale, un senso esistenziale alla storia soggettiva di coloro che
l'hanno narrata ed ascoltata.
Tra l'altro, è interessante sottolineare messa in bocca al santo da una parte
legato ad un particolare evento, è anche vero che il trovarlo pure in un rito atmosferico propiziatorio può essere il segno di una sopravvivenza mitico-rituale esistente nel meridione d'Italia, la cui struttura simbolico-liturgica, ma è solo un'illazione, sarebbe riap
che se il fatto dell'aringa è un fenomeno soggettivo
parsa, usando il nesso della "storia", anche nel comune di Roccastrada e comunque, questa storia, potrebbe averla raccontata, faccio un'ipotesi, durante il servizio di leva, un siciliano a questa persona che fece quell'atto.
Un' altra informatrice tradizionale racconta che queste visite alla fonte del Santo venivano effettuate in occasione sia di calamità siccitose, che di forte pioggia, ma anche in caso di morti o incidenti nel lavoro dei mariti, allora "s'andava perché si prendeva l'acqua benedetta.. tutte 'nsieme le parenti e le donne di paese..". Il pellegrinaggio da parte degli abitanti dei vari paesi sembra rafforzare la mia idea che a quel pellegrinaggio alla Sacra Fonte vi fosse connessa anche una ritualità iniziatica e tutto un bagaglio tradizionale di significati.
Ci sono molte ipotesi che fanno pensare all'elemento acqua come possibilità di catarsi e di trasformazione corporea, nel passaggio dalla fanciullezza alla pubertà ed al controllo di questa attraverso una ritualità collettiva.
Un altro aspetto importante è quello, che ipoteticamente determinerebbe l'acquisizione di una subaltemità femminile, che nelle società tradizionali si esprimeva prima di tutto come realizzazione matrimoniale.
Un' esigenza, che ho percepito nel momento stesso delle interviste, è che all'intemo di quell'oralità, che definisco di "confine", è connessa l'esigenza del riconoscimento, come di uno status in cui il passato venga riconosciuto all'interno di una sua logica.
Sembra emergere infatti un desiderio di rivalsa femminile da quella suboltemità, nella quale, gli uomini del paese, relegavano spesso le donne che andavano in processione.
L'informatrice racconta infatti "Io penso che dietro dietro avranno riso..".. "Però.. se pioveva.. le donne avevano 'no gran vittoria.." Il luogo della suboltemità, quel "cacciare!?.. di donne" diviene così una terra liminare e di confine, nella quale le donne cercano una nuova identità al femminile.
Queste terre dall'indefinito confine, d'altronde, sono le sinapsi del complesso tessuto relazionale che costruisce ogni cultura e sono presenti in ogni luogo e in ogni epoca, rappresentandone talvolta addirittura l'elemento costitutivo, come nell'ironia delle maschere comiche del periodo classico, ad esempio, o negli eroi greci, Dioniso, Prometeo, Epimeteo.
Queste zone imprecise e costituzionalmente in ombra, sono endogene ad ogni status e ricche di implicazioni e capacità esplicative. Fare piovere, come fare smettere di piovere quando piove troppo, oppure fare smettere di grandinare, sono tutte competenze inerenti alle nostre società tradizionali, che un'analisi delle etnografie comparate lega alle competenze dello status femminile.
R. Io mi ricordo ci andavo co' la mi' nonna.. sempre co grandi.. perché a soli i bimbi.. non è che si poteva andare coll'amica.. 'nsomma ero piccola.. ma non proprio da non andare... e s'andava 'n giù.. a que' tempi... a piedi e su tornavamo con i bambini che facevano le corse pe' sonare le campane al ritorno..
D. Ma c'era un motivo che spiegava il suonare le campane al ritorno..
R. Sì.. '1 motivo era che avvisavano quelli del paese.. che erano stati a San Feriolo e tra poco pioveva era pe' avvisò quest'omini.. Tomini lavoravano e non venivano alla processione.. tante volte le più volte...
Prima facevamo tutto a piedi.. ma l'avrò fatto nel quarontacinque era appena finita la guerra.. po' ci sarebbero state l'elezioni.. la guerra era finita.. 'nsomma tutto già 'n pochino s'era rimesso in ordine ... e se non pioveva si doveva andare e si faceva ancora se pioveva e... era proprio un'usanza.. mi pare sarà stato maggio.. giugno..
così s'andava questo giorno giù a questo San Feriolo a pregare.. se pioveva troppo s'andava acchè smettesse e se non pioveva s'andava per vedere se pioveva.. perché per la campagna era molto importante e... tutti contenti e si cantava quando s'andava lì e... a volte po' si mangiava dove c'era un bel noce.. prima d'arrivare...
La bella cosa... che oggi non c'è più.. i giovani 'n ci pensano più a noi vecchi... era che noi più giovanine e si doveva accompagnò le donne più vecchie che non camminavano.. ma io ero troppo piccina quando c'ondavo... e lo facevano quelle più grandi di me 'nsomma.. io ero ragazzina proprio.. e mi ricordo che giocavo a correre tutto 'n giro intorno alla chiesetto., po' si giocava a chiapparello co le altre ragazzine...
A volte le ragazze e c'andavano anche perché... c'era qualcuno che gli piaceva tra Tomini... e ragazzi... ora so vecchi.. 'nsommo era 'no bella festa... quella di San Feriolo.. nella chiesa c'era anche un quadro che poi è stato rubato dice.. dove c'era il santo in ginocchio con questa brocca da dove veniva giù quest'acqua.. po c'era questa piccola fontina di lato e noi si prendeva la brocca e si portava a casa anche come benedizione quest'acqua 'nsomma..
D. E quest'acqua che funzione aveva..?
GLI ITINERARI
R. Questa acqua era nata pe' un miracolo., la fonte
venne fori dal sangue di San Fenolo.. quando i suoi uccisori
lo ammazzarono.. forse erano gli antichi romani.. perché lu' era cristiano... uno de' primi che c'erano, s'era all'inizio del cristianesimo... e dove morì San Fenolo ci nacque la fonte..
Noi quell'acqua e si teneva in casa.. a volte... quando c'era qualche
malato ci si... segnava.. oppure
spruzzava 'n pochino, pe' vedè se D. E la storia della sardina?!..
R. Io l'ho sentita dì questa cosa.. pero io non ce l'ho mai vista eh..! D. No..!?
R. Però io so che dicevano.. "mettetegli un'aringa addirittura.." perché è molto salata l'aringa.. "mettetegli un'aringa in bocca voi che andate giù e che siete tanto devote a vedé se si riesce a fà piove'.." quando stava tanto tempo senza piove'.. però non lo so nemmeno.. perché essendo un quadro se ce l'avevano messa.. do
veva esserci un segno..
D. Dicevano che c'era un
R. Un taglio eh.. ah sì..! No.. sinceramente io questo non ce l'ho visto.. D. Si racconta... e gli uomini come la vedevano questa cosa..? R. Ma niente.. un n'è che n'abbia... io penso che dietro dietro avranno riso 'n po'.. non lo so.. però se pioveva le donne avevano 'na gran vittoria eh... sì.. se capitava l'acqua dopo la processione...
si portava nelle campagne e si andava meglio il raccolto..
taglio..
Una lettura antropologica
Altri informatori tradizionali del territorio roccastrodino raccontano che le donne, in un periodo di gran siccità fecero un taglio nella tela del dipinto all'altezza della bocca e ci misero una sardina perché così al Santo "gli veniva sete" ed avrebbe mandato la pioggia. Un'usanza del tutto simile si ritroverebbe nel paesino siciliano di Niscemi.
Qui si racconta che il taglio, in questo caso, fu effettuato nel contesto di una processione e questo è maggiormente interessante, dato che a S. Fenolo il fatto dell' "aringa" è storicamente avvenuto, attivando, nell'immaginario collettivo, un processo di leggendarizzazione, in cui l'evento storico è diventato un oggetto transazionale, divenendo evento mitico e dando forse, in questa trasposizione di identità da un livello orizzontale ad un livello verticale, un senso esistenziale alla storia soggettiva di coloro che
l'hanno narrata ed ascoltata.
Tra l'altro, è interessante sottolineare messa in bocca al santo da una parte
legato ad un particolare evento, è anche vero che il trovarlo pure in un rito atmosferico propiziatorio può essere il segno di una sopravvivenza mitico-rituale esistente nel meridione d'Italia, la cui struttura simbolico-liturgica, ma è solo un'illazione, sarebbe riap
che se il fatto dell'aringa è un fenomeno soggettivo
parsa, usando il nesso della "storia", anche nel comune di Roccastrada e comunque, questa storia, potrebbe averla raccontata, faccio un'ipotesi, durante il servizio di leva, un siciliano a questa persona che fece quell'atto.
Un' altra informatrice tradizionale racconta che queste visite alla fonte del Santo venivano effettuate in occasione sia di calamità siccitose, che di forte pioggia, ma anche in caso di morti o incidenti nel lavoro dei mariti, allora "s'andava perché si prendeva l'acqua benedetta.. tutte 'nsieme le parenti e le donne di paese..". Il pellegrinaggio da parte degli abitanti dei vari paesi sembra rafforzare la mia idea che a quel pellegrinaggio alla Sacra Fonte vi fosse connessa anche una ritualità iniziatica e tutto un bagaglio tradizionale di significati.
Ci sono molte ipotesi che fanno pensare all'elemento acqua come possibilità di catarsi e di trasformazione corporea, nel passaggio dalla fanciullezza alla pubertà ed al controllo di questa attraverso una ritualità collettiva.
Un altro aspetto importante è quello, che ipoteticamente determinerebbe l'acquisizione di una subaltemità femminile, che nelle società tradizionali si esprimeva prima di tutto come realizzazione matrimoniale.
Un' esigenza, che ho percepito nel momento stesso delle interviste, è che all'intemo di quell'oralità, che definisco di "confine", è connessa l'esigenza del riconoscimento, come di uno status in cui il passato venga riconosciuto all'interno di una sua logica.
Sembra emergere infatti un desiderio di rivalsa femminile da quella suboltemità, nella quale, gli uomini del paese, relegavano spesso le donne che andavano in processione.
L'informatrice racconta infatti "Io penso che dietro dietro avranno riso..".. "Però.. se pioveva.. le donne avevano 'no gran vittoria.." Il luogo della suboltemità, quel "cacciare!?.. di donne" diviene così una terra liminare e di confine, nella quale le donne cercano una nuova identità al femminile.
Queste terre dall'indefinito confine, d'altronde, sono le sinapsi del complesso tessuto relazionale che costruisce ogni cultura e sono presenti in ogni luogo e in ogni epoca, rappresentandone talvolta addirittura l'elemento costitutivo, come nell'ironia delle maschere comiche del periodo classico, ad esempio, o negli eroi greci, Dioniso, Prometeo, Epimeteo.
Queste zone imprecise e costituzionalmente in ombra, sono endogene ad ogni status e ricche di implicazioni e capacità esplicative. Fare piovere, come fare smettere di piovere quando piove troppo, oppure fare smettere di grandinare, sono tutte competenze inerenti alle nostre società tradizionali, che un'analisi delle etnografie comparate lega alle competenze dello status femminile.
La Poesia Estemporanea
Appuntamento annuale ad aprile, giunto alla XI edizione, organizzato dall'Associazione culturale "Sergio Lampis - Improvvisar Cantando" di Ribolla, in collaborazione con il Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane.