I vini
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Nei vigneti della parte nord della provincia di Grosseto inclusa nei territori dei comuni di Massa Marittima e di Monterotondo Marittimo e in alcune zone dei comuni di Roccastrada, Castiglione della Pescaia, Scarlino e Follonica si producono vini a denominazione di origine controllata "Monteregio dì Massa Marittima" nelle seguenti tipologie:
Rosso: si produce con uve dì Sangiovese (minimo 80 per cento) ed di eventuali altri vitigni a bacca rossa non aromatici (singolarmente nel limite del 10 per cento o congiuntamente non oltre il 20 per cento). Ha un colore rubino di buona intensità; odore vinoso, fruttato, sapore secco. Gradazione minima: 11,5) Uso: da pasto. Con un invecchiamento di due anni, di cui sei mesi in botti di legno e tre mesi di affinamento in bottiglia e con una gradazione minima di 12 questo vino può portare in etichetta la menzione "riserva"; in questo caso ha un colore rosso rubino di buona intensità tendente al granato, l'odore è vinoso; il profumo intenso, fruttato e il sapore secco. Uso: con carni rosse. Con una vinificazione condotta secondo la tecnica della macerazione carbonica per almeno il 40 per cento si ottiene invece il tipo "novello", dal colore rubino, l'odore vinoso, fruttato, il sapore asciutto, leggermente acidulo, sapido. Gradazione minima 11. Uso: da pasto.
Rosato: si produce con le stesse uve dei vini rossi. Ha un colore rosa di buona intensità, l'odore è vinoso, il profumo intenso, fruttato, il sapore secco. Gradazione minima: 11. Uso: con salumi e zuppe.
Bianco: si produce con le uve dei vitigni Trebbiano toscano, Vermentino, Malvasia, Malvasia bianca di Candia e Ansonica e di eventuali altri vitigni di bacca bianca. Ha un colore giallo paglierino tenue, l'odore è intenso e delicato, il sapore asciutta, di media corposità. Gradazione minima: 11. Uso: da pesce.
Vermentino: si produce con le uve del vitigno omonimo in percentuale minima del 90 per cento e l'eventuale aggiunta di uve di altri vitigni a bacca bianca. Ha un colore paglierino brillante, a volte con riflessi verdolini, un odore delicata, caratteristico, il sapore è secco, morbido, vellutato. Gradazione minima: 11,5. Uso: da pesce.
Vin Santo: si produce con le uve dei vitigni Trebbiano toscano e Malvasia (minimo 70 per cento da soli o congiuntamente) e con quelle di altri vitigni a bacca bianca, sottoposte ad un appassimento naturale. Ha un colare giallo paglierina dal dorato fino all'ambrata intenso, il sapore è armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile. L'invecchiamento è obbligatorio, dai tre ai quattro anni per il tipo "riserva". Gradazione minima: 16. Uso: da dessert.
Vin Santo Occhio di Pernice: si produce con le uve Sangiovese e Malvasia nera e di eventuali altri vitigni a bacca nera. Ha uncolore caldo intenso, il sapore è dolce, morbido, vellutato e rotondo. Gradazione minima: 16. Uso: da dessert.
Rosso: si produce con uve dì Sangiovese (minimo 80 per cento) ed di eventuali altri vitigni a bacca rossa non aromatici (singolarmente nel limite del 10 per cento o congiuntamente non oltre il 20 per cento). Ha un colore rubino di buona intensità; odore vinoso, fruttato, sapore secco. Gradazione minima: 11,5) Uso: da pasto. Con un invecchiamento di due anni, di cui sei mesi in botti di legno e tre mesi di affinamento in bottiglia e con una gradazione minima di 12 questo vino può portare in etichetta la menzione "riserva"; in questo caso ha un colore rosso rubino di buona intensità tendente al granato, l'odore è vinoso; il profumo intenso, fruttato e il sapore secco. Uso: con carni rosse. Con una vinificazione condotta secondo la tecnica della macerazione carbonica per almeno il 40 per cento si ottiene invece il tipo "novello", dal colore rubino, l'odore vinoso, fruttato, il sapore asciutto, leggermente acidulo, sapido. Gradazione minima 11. Uso: da pasto.
Rosato: si produce con le stesse uve dei vini rossi. Ha un colore rosa di buona intensità, l'odore è vinoso, il profumo intenso, fruttato, il sapore secco. Gradazione minima: 11. Uso: con salumi e zuppe.
Bianco: si produce con le uve dei vitigni Trebbiano toscano, Vermentino, Malvasia, Malvasia bianca di Candia e Ansonica e di eventuali altri vitigni di bacca bianca. Ha un colore giallo paglierino tenue, l'odore è intenso e delicato, il sapore asciutta, di media corposità. Gradazione minima: 11. Uso: da pesce.
Vermentino: si produce con le uve del vitigno omonimo in percentuale minima del 90 per cento e l'eventuale aggiunta di uve di altri vitigni a bacca bianca. Ha un colore paglierino brillante, a volte con riflessi verdolini, un odore delicata, caratteristico, il sapore è secco, morbido, vellutato. Gradazione minima: 11,5. Uso: da pesce.
Vin Santo: si produce con le uve dei vitigni Trebbiano toscano e Malvasia (minimo 70 per cento da soli o congiuntamente) e con quelle di altri vitigni a bacca bianca, sottoposte ad un appassimento naturale. Ha un colare giallo paglierina dal dorato fino all'ambrata intenso, il sapore è armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile. L'invecchiamento è obbligatorio, dai tre ai quattro anni per il tipo "riserva". Gradazione minima: 16. Uso: da dessert.
Vin Santo Occhio di Pernice: si produce con le uve Sangiovese e Malvasia nera e di eventuali altri vitigni a bacca nera. Ha uncolore caldo intenso, il sapore è dolce, morbido, vellutato e rotondo. Gradazione minima: 16. Uso: da dessert.
Vino e cultura
L'identità: ricordanze e strategie
L' evoluzione della tradizione è anche la cifra del vino: in assoluto storico geografico e nello specifico del vino della Maremma.
Pochi prodotti sono infatti, come il vino, figli della diacronia e della cultura. In un incessante globale intreccio di variazioni, dai vitigni ai gusti, dagli strumenti alle tecniche: diversamente dal creder comune, incline a immaginare oscure profondità storiche e processi di lavorazione molto prossimi alla spontaneità della natura.
I modi di fare e gustare il vino non sono mai stati a lungo gli stessi. Così che, per esaltarne la qualità attuale, non ha molto senso scomodare più di tanto età preistoriche o etrusco-romane: vitigni fossili e frammenti di anfore. L'età dell'oro del vino non si è perduta: deve ancora compiersi. Non è da ritrovare ma da costruire, attenendo molto più alla modernità e ai progetti che alla fedeltà di improbabili archetipi.
Anche se è innegabile che, da quando la freccia del progresso sembra quasi voler rinunciare al suo antico bersaglio, il presente si rivolge con grande frequenza al passato: cercandovi soprattutto evocazioni, emozioni, simboli. Colori e calori che ravvivano la razionalità cristallina di efficienze e ottimizzazioni. La tradizione locale, filtrata adeguatamente in 'aura di racconto', si presenta come additivo indispensabile per arricchire l'immagine di prodotti ambientati in aree particolari. Emptor in fabula, l'uomo si scopre desideroso, assieme, di possessi e sogni, funzioni e significati.
In Maremma non manca nessuno di questi tratti pertinenti: la generalità dello schema si invera con estrema puntualità confermandone e precisandone il valore.
Sullo sfondo infatti di una storia lunga, quanto al momento sfocata, la produzione vitivinicola inizia ad acquistare consapevolezza di sé, e quindi a nascere davvero, in età moderna.
Il Museo del vino di Roccastrada va considerato quale componente di questo processo, che ne predetermina l'identità tematica. Il Museo quindi è chiamato a comunicare, soprattutto, come una secolare vocazione d'area abbia scelto, modernamente, di rinnovarsi: sperimentando e promuovendosi, in una tensione verso la qualità che è ancora pienamente in atto. In questa direzione valutiamo che il Museo potrà trovare, insieme e utilmente, individualità propria e connessioni molteplici.
Museo infatti non solo del passato e non solo del mondo contadino, capace di informare sui tempi lunghi del sapere comunitario ma anche circa i traumi fecondi provocati dall'inventiva individuale.
Museo dove la memoria del "come si faceva" significa documentare la ricerca verso il nuovo almeno quanto l'ossequio alle pratiche di sempre.
Museo pertanto programmaticamente "aperto". Dove l'alfa saranno le prime attestazioni della qualità del vino maremmano e l'omega coinciderà con la messa in evidenza del carattere di work in progress della produzione attuale.
La memoria trascorre qui, opportunamente, nella dimensione economica.
Memoria e mercato vanno da tempo confortando la crescente convinzione per cui incremento produttivo e sviluppo economico non vanno necessariamente ad erodere e degradare il patrimonio ambientale. Tale erosione e degrado corrisponderebbero ad una sorta di prezzo inevitabile da pagare, magari da contenere difensivamente: il "presente" e il "futuro", secondo questa logica, non potrebbero fare a meno di calpestare, se non uccidere, il "passato". 1 tempi e gli esempi sono al contrario oggi abbastanza maturi per l'attuazione di progetti capaci di rendere la stessa tradizione un momento produttivo ed economicamente redditizio.
La coltivazione della vite e la produzione del vino sono appunto esempi efficaci di rapporto stretto e armonico tra esigenze economiche e valorizzazione dell'ambiente, fra tradizione e innovazione: entrambe si presentano come fortemente radicate nel tempo e nella cultura di un territorio, tanto da caratterizzarne tra l'altro il paesaggio.
La vitivinicoltura si colloca evidentemente, in questo quadro, come un determinante distretto industriale agri-alimentare: offrendo inoltre interessanti scorci visuali sul panorama del rapporti tra stock e flussi e una soluzione equilibrata tra le esigenze a breve termine dell'economia e quelle a lunghissima scadenza dell'ambiente.
La vite e il vino, come si vede, si rivelano intrinsecamente predisposti al gioco delle connessioni, fornendo - notava Giovanni Manco - "un esempio ineguagliato di complessità 'sistemica' tra la disciplina e i settori di interesse che vi confluiscono. Il campione che ci viene offerto è una fonte inesauribile di documenti storici per una rilettura di ciò che unitariamente ha segnato, in un ambito territoriale unitario, l'ambiente, il paesaggio, la produzione, il lavoro,, la tecnologia, l'alimentazione, le tradizioni e la cultura. Campo tematico, dunque, nel quale diviene estremamente formativa la comprensione delle interdipendenze esistenti tra gli elementi che ne compongono il sistema".
L'identità: ricordanze e strategie
L' evoluzione della tradizione è anche la cifra del vino: in assoluto storico geografico e nello specifico del vino della Maremma.
Pochi prodotti sono infatti, come il vino, figli della diacronia e della cultura. In un incessante globale intreccio di variazioni, dai vitigni ai gusti, dagli strumenti alle tecniche: diversamente dal creder comune, incline a immaginare oscure profondità storiche e processi di lavorazione molto prossimi alla spontaneità della natura.
I modi di fare e gustare il vino non sono mai stati a lungo gli stessi. Così che, per esaltarne la qualità attuale, non ha molto senso scomodare più di tanto età preistoriche o etrusco-romane: vitigni fossili e frammenti di anfore. L'età dell'oro del vino non si è perduta: deve ancora compiersi. Non è da ritrovare ma da costruire, attenendo molto più alla modernità e ai progetti che alla fedeltà di improbabili archetipi.
Anche se è innegabile che, da quando la freccia del progresso sembra quasi voler rinunciare al suo antico bersaglio, il presente si rivolge con grande frequenza al passato: cercandovi soprattutto evocazioni, emozioni, simboli. Colori e calori che ravvivano la razionalità cristallina di efficienze e ottimizzazioni. La tradizione locale, filtrata adeguatamente in 'aura di racconto', si presenta come additivo indispensabile per arricchire l'immagine di prodotti ambientati in aree particolari. Emptor in fabula, l'uomo si scopre desideroso, assieme, di possessi e sogni, funzioni e significati.
In Maremma non manca nessuno di questi tratti pertinenti: la generalità dello schema si invera con estrema puntualità confermandone e precisandone il valore.
Sullo sfondo infatti di una storia lunga, quanto al momento sfocata, la produzione vitivinicola inizia ad acquistare consapevolezza di sé, e quindi a nascere davvero, in età moderna.
Il Museo del vino di Roccastrada va considerato quale componente di questo processo, che ne predetermina l'identità tematica. Il Museo quindi è chiamato a comunicare, soprattutto, come una secolare vocazione d'area abbia scelto, modernamente, di rinnovarsi: sperimentando e promuovendosi, in una tensione verso la qualità che è ancora pienamente in atto. In questa direzione valutiamo che il Museo potrà trovare, insieme e utilmente, individualità propria e connessioni molteplici.
Museo infatti non solo del passato e non solo del mondo contadino, capace di informare sui tempi lunghi del sapere comunitario ma anche circa i traumi fecondi provocati dall'inventiva individuale.
Museo dove la memoria del "come si faceva" significa documentare la ricerca verso il nuovo almeno quanto l'ossequio alle pratiche di sempre.
Museo pertanto programmaticamente "aperto". Dove l'alfa saranno le prime attestazioni della qualità del vino maremmano e l'omega coinciderà con la messa in evidenza del carattere di work in progress della produzione attuale.
La memoria trascorre qui, opportunamente, nella dimensione economica.
Memoria e mercato vanno da tempo confortando la crescente convinzione per cui incremento produttivo e sviluppo economico non vanno necessariamente ad erodere e degradare il patrimonio ambientale. Tale erosione e degrado corrisponderebbero ad una sorta di prezzo inevitabile da pagare, magari da contenere difensivamente: il "presente" e il "futuro", secondo questa logica, non potrebbero fare a meno di calpestare, se non uccidere, il "passato". 1 tempi e gli esempi sono al contrario oggi abbastanza maturi per l'attuazione di progetti capaci di rendere la stessa tradizione un momento produttivo ed economicamente redditizio.
La coltivazione della vite e la produzione del vino sono appunto esempi efficaci di rapporto stretto e armonico tra esigenze economiche e valorizzazione dell'ambiente, fra tradizione e innovazione: entrambe si presentano come fortemente radicate nel tempo e nella cultura di un territorio, tanto da caratterizzarne tra l'altro il paesaggio.
La vitivinicoltura si colloca evidentemente, in questo quadro, come un determinante distretto industriale agri-alimentare: offrendo inoltre interessanti scorci visuali sul panorama del rapporti tra stock e flussi e una soluzione equilibrata tra le esigenze a breve termine dell'economia e quelle a lunghissima scadenza dell'ambiente.
La vite e il vino, come si vede, si rivelano intrinsecamente predisposti al gioco delle connessioni, fornendo - notava Giovanni Manco - "un esempio ineguagliato di complessità 'sistemica' tra la disciplina e i settori di interesse che vi confluiscono. Il campione che ci viene offerto è una fonte inesauribile di documenti storici per una rilettura di ciò che unitariamente ha segnato, in un ambito territoriale unitario, l'ambiente, il paesaggio, la produzione, il lavoro,, la tecnologia, l'alimentazione, le tradizioni e la cultura. Campo tematico, dunque, nel quale diviene estremamente formativa la comprensione delle interdipendenze esistenti tra gli elementi che ne compongono il sistema".